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Falsi miti sul suicidio

    Oggi parliamo di un argomento tabù: il suicidio. Rappresenta una delle principali cause di morte nella fascia di età che va dai 15 ai 44 anni eppure non se ne parla molto come fosse una sorta di rito scaramantico e anche quando lo si fa spesso si cade in una serie di affermazioni che sono quanto di più sbagliato possa esserci.

    Si può essere portati a pensare che non sia una buona idea parlare di suicidio come se parlarne spingesse la persona all’estremo gesto; si è portati a credere, inoltre, che chi ha intenzioni suicidarie non ne parli a nessuno e compia il gesto in totale riservatezza. In realtà si è riscontrato che le persone che mettono in atto condotte suicidarie lanciano dei messaggi e dei segnali e che spesso esprimono la loro intenzione a suicidarsi. Soffermiamoci un attimo su questo aspetto importante: quante volte abbiamo fatto o sentito affermazioni volte al suicidio? Se alcune volte possono essere usate senza una reale intenzione alla base è pur vero che ogni parola, pensiero o azione volta al suicidio, se ripetuta, merita un indagine approfondita anche se detta/compiuta con tono scherzoso! Il suicidio in pochissimi casi è frutto di una decisione repentina, il più delle volte è la conclusione di un vissuto interiore doloroso in cui sono frequenti i dubbi sul porre fine o meno alla propria vita. La persona si trova come in un pendolo dove oscilla tra la vita e la morte: se da una parte vuole porre fine alla sua sofferenza, dall’altro l’istinto di vita lo fa desistere dal commettere il gesto.

    Un altro falso mito è legato alla credenza che chi compie gesti suicidari sia depresso o che comunque abbia problemi psichici. Quante volte leggendo le cronache abbiamo letto frasi del tipo “tenta il suicidio, soffriva di depressione”? In realtà non è detto che le due cose siano collegate: se è vero che molte persone che soffrono di un disturbo psichico hanno comportamenti suicidari, è altrettanto vero che la maggior parte delle persone che tentano il suicidio non sono persone che soffrono di una qualche malattia mentale bensì persone che, in assenza di tutto ciò, hanno affrontato o stanno affrontando un dolore talmente tanto grande da non vedere altra alternativa. L’intenzione alla base non è quella di porre fine alla propria vita ma di far cessare un dolore straziante che si porta dentro.

    Un’altra falsa credenza è che sia un fenomeno che riguarda solo una specifica fascia sociale (che ad esempio colpisca solo le fasce più basse o al contrario che colpisca esclusivamente le fasce abbienti); in realtà non si riscontrano differenze di status sociale andando a colpire tutte le fasce della popolazione mondiale.

    Infine si pensa che una persona che ha tentato il suicidio sia suicida per sempre o, al contrario, che una volta passata la fase acuta questa sia al riparo da ogni altro tentativo. In realtà entrambe le affermazioni sono sbagliate: la persona sarà a rischio suicidio solo per un periodo limitato di tempo, tuttavia è anche vero che i tentativi di suicidio costituiscono un importante fattore di rischio per tentativi successivi.

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